La neve a New York, certo, non credo che esista un clichè più abusato. Eppure, quando ti ci trovi in mezzo, il dolore del ghiaccio nelle ossa, il male del vento che ti ustiona le gote, le maledizioni che ti rivolgi per aver deciso di uscire, mentre tutti s’incantano alla finestra, alimentano lo sguardo, incendiano la rivalsa. E allora succede il miracolo di vedere ciò che non t’era capitato di osservare nel lavoro altrui, ti succede di scoprire che quello che conosci non è abbastanza, non lo è affatto, e che la meraviglia del quotidiano, questa lotta a ricordarsi che siamo vivi nelle cose minute, torna a farsi presente, torna ad essere poesia. Fino al primo sole. [G.V.]